Maternity in the time of Covid-19: a personal history

Mia figlia Alma è nata il 20 di marzo del 2020 in circostanze che nessuno avrebbe potuto immaginare. Sicuramente partorire al tempo di una pandemia significa fermarsi a pensare la maternità e la vita in maniera diversa, sommare all’incertezza del dare la vita e prendersi cura di un neonato, quella di non sapere come sarà la vita di tutti noi dopo l’emergenza.
Per nove lunghi mesi, e forse anche di più, con suo padre, i suoi nonni e gli amici abbiamo immaginato la nascita di Alma pieni di emozioni e di aspettative.
Ma Alma non li ha ancora conosciuti i suoi nonni, né gli zii, né gli amici più cari. Non ha ricevuto ancora nessuna visita, nessun regalo, non è ancora neanche stata visitata dalla sua pediatra.
Nonostante l’emergenza sanitaria però siamo riuscite a partorire in sicurezza e nel rispetto totale delle nostre volontà, accompagnate dal nostro prezioso e coraggioso papà. Un meraviglioso e lunghissimo parto naturale, circondate da ostetriche bravissime. I loro volti, dietro la mascherina, sembravano solo occhi. Occhi giganti, sorridenti, compassionevoli, occhi scoperti . Il mio respiro forte sul loro viso… Avrei potuto infettarle?
Alma è la nostra prima figlia, quindi ci troviamo a dover imparare tutto da soli, o al massimo in videochiamata con la nonna, al telefono
con l’ostetrica o con la pediatra, che cercano di darci una mano risolvendo i nostri dubbi rimanendo in ascolto. Parliamo al telefono con un’infermiera ormai in pensione che ci offre consulenze sull’allattamento. Cerchiamo di ricostruire una rete di supporto e di cura a distanza, grazie a persone disponibili ed empatiche. La cosa più dura di tutta questa esperienza è il dover rinunciare a quella rete di solidarietà femminile che si crea attraverso i consultori, i gruppi di sostegno all’allattamento, di ascolto e di supporto per neomamme. Ma anche quelle reti che si creano tra neomamme e mamme di figli più grandi, reti familiari di madri, nonne, zie, sorelle…
Sfortunatamente nessuna videochiamata potrà colmare quello spazio doloroso che separa una nonna da una nipote appena nata. Nessuna foto, né messaggio può sostituire l’abbraccio di donne sorelle che creano comunità, famiglia e cura.
Eppure si cerca di trovare dei lati positivi di quello che stiamo vivendo, di ritrovare la gioia delle cose semplici delle piccole cose. Mi ha commosso molto vedere il mio compagno entrare nella nostra stanza d’ospedale con un mazzetto di fiori di campo raccolti nel prato vicino a casa nostra. I fioristi saranno chiusi, ma i fiori continuano a sbocciare tutto intorno a noi.
A volte pensiamo di aver bisogno di cose che non possiamo comprare perché i negozi sono tutti chiusi, ci troviamo a riflettere se davvero ne abbiamo bisogno e concludiamo che alla fine non erano cose così importanti visto che possiamo farne a meno. Nascere al tempo del coronavirus vuol dire anche questo, limitarsi per necessità ed imparare da quest’esperienza a chiedersi quali sono i nostri effettivi bisogni, risituando quelli più importanti, quelli umani, prima di quelli materiali. Dopotutto ci diciamo che Alma ha avuto il privilegio di adattarsi al mondo extrauterino nella calma e nel silenzio lontano dalle visite e dallo stress che queste possono causare in un neonato, ma abbiamo anche coscienza di essere dei privilegiati, che abitano in un angolo di paradiso della campagna toscana dove se non si accende la tv l’ansia dell’isolamento non travolge poi troppo. Pensiamo spesso a quei genitori che accolgono un figlio rinchiusi in appartamenti nella grande città, alle madri nubili, a tutti quelli che a l’immensa felicità di accogliere il proprio bambino o la propria bambina accompagnano la tragedia di perdere il proprio lavoro. Neanche per noi e le nostre famiglie artigiane sarà facile, dovremo affrontare la difficoltà economica, l’incertezza.
Sulla sera quando il Maternity Blues mi abbraccia dolcemente, verso qualche lacrima ma non posso impedirmi di pensare a tutte quelle donne che si trovano in situazioni ben peggiori della mia, che si trovano con la pancia sgonfia, il seno dolente e gli occhi pieni di lacrime senza aver l’opportunità di parlarne con qualcuno o di ricevere il sostegno di cui hanno bisogno. A tutte quelle donne si rivolge il mio pensiero, il mio augurio, e mi trovo a sussurrare piano… Andrà tutto bene..

Guendalina Simoncini, PhD Candidate in Political Science, University of Pisa