Covid-19, #iorestoacasa e violenza domestica
1) Qual è stato l’impatto delle misure di contrasto all’epidemia COVID-19 sulla violenza sulle donne, e in particolare sulla violenza domestica? Sono state registrate delle variazioni delle segnalazioni di situazioni di violenza, o nelle richieste di aiuto?
Stare a casa è un obbligo e lo sarà presumibilmente per molto tempo. Sappiamo che ciò risponde alla necessità collettiva di arginare la pandemia e su questo nessuna ha dubbi. Come donne, operatrici ed esperte di violenza maschile fin dall’inizio della emergenza Covid-19 abbiamo avuto una certezza: i Centri antiviolenza devono rimanere attivi, per mantenere il contatto o creare il legame, sempre rispettando la giusta distanza, con quelle donne costrette a vivere in casa, il luogo più familiare e al tempo stesso il più pericoloso. Da qui la decisione di tutti i Centri antiviolenza della Rete Dire di continuare ad offrire i servizi di supporto da remoto, oltre che garantire la gestione delle case rifugio. L’attuale situazione di emergenza va paradossalmente a rafforzare proprio i due elementi fondanti la violenza relazionale: l’isolamento della donna dalle sue aree di vita (familiare, amicale, lavorativa e sociale) e il controllo dell’uomo sulle azioni e le scelte della partner. Questa convivenza, ininterrotta, essendo 24 ore su 24, e prolungata, da oltre un mese crea nelle donne dei forti vissuti di stress e di impotenza, a cui nei casi in cui ci siano figli, si va anche ad aggiungere un gran sovraccarico nel lavoro di cura dei bambini. Nonostante la maggior presenza degli uomini che agiscono violenza all’interno delle abitazioni e la minor libertà di movimento delle donne dal 2 marzo al 5 aprile il Centro antiviolenza Casa della donna ha supportato 61 donne, delle quali 35 nuovi contatti e 4 richieste per situazioni di emergenza. Possiamo dire, quindi, che il numero delle richieste è leggermente calato ma a cambiare sono soprattutto le tematiche portate dalle donne alla nostra attenzione. C’è chi vuole essere supportata nel trovare strategie per gestire la convivenza coatta e definire dei piani di sicurezza in caso di escalation della violenza e chi racconta la sua storia di abuso economico e di controllo da parte del partner approfittando dei momenti in cui lui è uscito a fare la spesa. Molte depositano emozioni come se scaricassero delle tensioni insopportabili con l’urgenza dello sfogo per non scoppiare e rimanere lucide a gestire questa quotidianità difficile, ancor più se possibile, di quella che sono abituate a sopportare. Chi accoglie le donne che vivono situazione di violenza sa perfettamente come ogni percorso è una storia a sé ed ogni donna ha i tempi diversi nel riconoscere la violenza vissuta, focalizzarsi sui propri bisogni e desideri e attivarsi per uscire dalla relazione violenta. In questa particolare fase, però, i tempi interni individuali sembrano dilatarsi se non perdersi e si percepisce nei racconti delle donne una maggior focalizzazione sul qui ed ora con una difficoltà di proiettarsi anche in un futuro non troppo lontano. Si chiama, quindi, per parlare dell’oggi anche perché non sappiamo se domani sarà possibile fare o non fare qualcosa, come ad esempio, parlare direttamente con una assistente sociale o andare direttamente in Questura a sporgere querela, dato che bisogna ridurre al minimo gli spostamenti.
2) Gli strumenti ordinari di contrasto alla violenza sulle donne, e in particolare alla violenza domestica, previsti dal diritto civile e penale possono essere efficaci nel contesto dell’emergenza sanitaria? Quali sono gli eventuali profili di inadeguatezza?
Possiamo dire che l’ordinamento italiano ha negli ultimi 20 anni sviluppato – anche grazie alle indicazioni di esperte nel campo della violenza contro le donne – un impianto normativo penale e civile che sulla carta offre una lettura della violenza di genere sufficientemente articolata, sia nella previsione dei reati (ove grazie anche alla giurisprudenza i tanti aspetti della violenza psicologica e di quella “assistita” trovano attenzione) che nella previsione di interventi di tutela e protezione in ambito penale e civile. Anche l’accesso alla giustizia, sempre sulla carta, è migliorato grazie all’ ampliamento del gratuito patrocinio per i reati tipici di violenza di genere. Il problema è – e parliamo di tempi “normali” – l’applicazione nella pratica di queste norme che trovano ancora – come espressamente denunciato anche dalla esperte GREVIO del Consiglio d’Europa nel loro Rapporto GREVIO ITALIA 2020 di monitoraggio dell’applicazione della Convenzione di Istanbul – un ostacolo notevole nel “clima culturale” attorno alla violenza contro le donne: ovvero i pregiudizi che non fanno prendere sul serio le tante forme di violenza non eclatanti, che non fanno credere alle donne, che minimizzano, che arrivano a colpevolizzarle. Questo in ogni fase della violenza e del percorso di uscita dalla stessa che una donna volesse intraprendere: e quindi si arriva a ciò che è nota come la vittimizzazione secondaria – nei percorsi con i servizi sociali e/o nelle aule giudiziarie – delle vittime di violenza di genere, con i noti risultati frustranti: misure di protezione e tutela negate o inapplicate o inadeguate, tempi processuali troppo lunghi, meccanismi giudiziali e cultura sulla violenza che non promuovono la prevenzione e tantomeno la punizione del reato, con il devastante effetto del “senso di impunità” degli uomini violenti e di mancata condanna sociale e/o effetto deterrente del sistema.
In questo quadro “normale” si inserisce ora al tempo del Covid-19 con tutte le note restrizioni la necessità di applicazione di tutte le norme e misure contro la violenza. E’ purtroppo chiaro che anche solo i cambiamenti nell’ organizzazione concreta del lavoro giudiziale e delle FFOO, la necessaria selezione di ciò che è urgente e ciò che non lo è in termini di procedure, penalizzano pesantemente le donne in situazione di violenza, soprattutto se non caratterizzate da un evento estremo eclatante. In teoria il diritto penale e civile di “urgenza” (misure cautelari, ordini di allontanamento penali e civili, processi urgenti già pendenti, pericolo di reiterazione del reato) restano attivi, ma di fatto si stanno notando inevitabili ritardi (o rinvii lunghi o sospensioni dei procedimenti ) con letture molto diverse sull’urgenza o meno, avendo il diritto sempre un margine di interpretazione che fa la giurisprudenza. Pertanto succede ciò che per le vittime di violenza è la cosa peggiore e fortemente pericolosa: non poter programmare nulla, né i tempi né tantomeno i contenuti di quei provvedimenti assolutamente necessari per poter anche solo pensare di uscire dalla violenza. E se da una parte non si danno le tempestive urgenti risposte (né civili né penali), dall’ altra si tiene a ribadire che per quanto riguarda i rapporti familiari e in particolare quelli che riguardano i diritti dei minori alla cd. bigenitorialità, l’emergenza Covid-19 non dovrebbe cambiare nulla, ovvero il genitore non convivente (solitamente il padre) deve poter continuare a frequentare i propri figli e stare con loro, appellandosi al mero “buon senso” rispetto al problema del pericolo per la salute dei minori. Inutile dire che questa generale “rinuncia” da parte degli operatori del diritto (e a ruota quelli del sociale) a regolamentare – proprio in questo periodo di crisi e pericolo – con attenzione la tutela dei minori nei tanti casi di padri violenti o comunque altamente conflittuali, lascia nuovamente senza alcuna tutela le donne e i loro figli.
3) Le restrizioni esistenti hanno portato ad un mutamento o ad un adeguamento degli strumenti di contrasto alla violenza sulle donne, sia per quanto riguarda le istituzioni pubbliche che le attività dei centri antiviolenza? Come?
Le attuali restrizioni hanno modificato parzialmente i servizi offerti dai Centri antiviolenza e i colloqui di accoglienza, il supporto psicologico e l’informazione legale, vengono svolti telefonicamente o tramite dispositivi informatici (videochiamate, ad esempio) mentre le attività all’interno delle case rifugio a supporto di donne e minori vengono attuate ma garantendo il rispetto delle norme in vigore. Se i principi della metodologia dell’accoglienza, come ad esempio, “l’autodeterminazione della donna”; “la sicurezza di donne e minori”; “la non discriminazione”; etc; rimangono i capisaldi del lavoro dei Centri anche in questi momenti, è stato necessario, però, riflettere maggiormente su alcuni accorgimenti e strategie contingenti la particolare situazione. Se prima si dava per scontato che nel momento in cui la donna chiamava un Centro era libera di parlare ora dobbiamo pensare che questi spazi possono essere più brevi, ad esempio il tempo della coda al supermercato, o molto labili perché da un momento all’altro potrebbe entrare qualcuno nella stanza.
Per quanto riguarda le risposte delle Istituzioni la situazione a livello nazionale è a “macchia di leopardo” e rispecchia il quadro preesistente all’emergenza sanitaria.
La Ministra per le Pari Opportunità Bonetti durante l’emergenza Covid-19 è riuscita, in un momento straordinario a sbloccare qualcosa di ordinario come i fondi previsti per il 2019 e trasferiti alle Regioni. In Toscana è presente il modello Codice Rosa nei Pronto Soccorso che rimane attivo e nel caso la donna non possa o voglia rientrare a casa, la ordinaria struttura di emergenza per lei e i figli è stata sostituita con luoghi sicuri, “di transizione” in cui passare la quarantena e/o l’attesa dei risultati del tampone prima di una ospitalità nella casa rifugio con le altri ospiti. Questi alloggi temporanei sono stati previsti anche su ordine del Ministero Interni e del Dipartimento Pari Opportunità e il reperimento sui diversi territori dovrebbe essere concordato da Prefettura, Sindaci e servizi sociali.
Da rilevare come il fatto che molti servizi istituzionali, quali servizio sociale, Procura, etc, funzionino per appuntamento o telefonicamente, benché sia comprensibile per le ragioni di emergenza sanitaria, possa comportare un ostacolo, almeno percepito, per le donne e una maggior frammentazione dei percorsi di aiuto.
4) Quali potrebbero essere strumenti utili per il contrasto della violenza sulle donne, e in particolare della violenza domestica, da utilizzare nella situazione attuale? Vi sono delle “buone prassi” da seguire, dei servizi da rafforzare o da introdurre?
Il coronavirus non ferma gli uomini che agiscono maltrattamenti e tutte le iniziative finalizzate a sensibilizzare sul tema della violenza contro le donne dovrebbero essere non solo continuate, ma anche rinforzate, affinché non si allenti la attenzione pubblica su questo fenomeno strutturale. Nelle crisi le discriminazioni sono marcate maggiormente e la violenza maschile che trova un radicamento nella discriminazione di genere è prevedibile che aumenti in termini sia di escalation e sia di incisività sulla vita delle donne. E’ necessario non abbassare la guardia e pensare già a progettare interventi a più lungo termine per supportare le donne, anche a livello abitativo e lavorativo.
Per quanto riguarda alcune iniziative adottate ultimamente e molto pubblicizzate come l’utilizzo di una chat per contattare il 1522 o la “You Pol”, applicazione sviluppata dalla Polizia di Stato per segnalare in modo estemporaneo e diretto situazioni di maltrattamento, possiamo affermare che questi strumenti sono utili per la richiesta di aiuto e supporto delle donne ma nello stesso tempo non possono essere considerati la panacea del male, devono essere spiegati affinché se ne faccia un uso consapevole e sono efficaci soprattutto per donne di certe fasce di età o per particolari tipi di violenza, come quella fisica. Rimane, quindi, fondamentale l’invio e il supporto del Centro antiviolenza.
5) Esistono un coordinamento o delle iniziative a livello europeo, da parte di istituzioni pubbliche o di altri soggetti, ad esempio dei centri antiviolenza?
Tante attiviste del mondo associativo hanno subito attivato le loro reti (formali e/o informali) per darsi sostegno, scambiando ogni notizia utile e soprattutto buone prassi di adattamento a questa nuova situazione, con l’obiettivo primario non solo di continuare, ma anche di potenziare il proprio lavoro, consapevoli del fatto che le donne in situazioni di violenza e/o comunque in situazioni difficili avrebbero avuto ancora più bisogno di sostegno e presenza.
Le ampie possibilità tecnologiche di comunicazione e attivismo a distanza – strumento già molto praticato dalle ONG delle donne impegnate contro la violenza di genere – hanno permesso un’intensificazione di contatti, non solo di scambio di informazioni, ma anche di formazione (pe. su strumenti tecnologici migliorativi delle possibilità di consulenza “virtuale”) e elaborazione di strategie operative e politiche.
Per menzionarne solo alcune: GNWS – Global Network Women Shelters, Wave – Women Against Violence Europe, EWL – European Women’s Lobby a livello europeo, senza menzionare le varie reti territoriali (p.e. Nordic network).
A livello mondiale si possono menzionare le tante Reti extra-europee di Centri antiviolenza di particolari regioni quali il NNEDV degli Usa, il RIRE dell’ America Centrale, l’ Asian Network of Women Shelters, e tanti altri; le tantissime piattaforme createsi nel 2019 in preparazione di propri documenti/rivendicazioni da presentare all’ evento 2020 della Commission of the Status of Women delle NU (al CSW 64 – Bejing +25) che si sarebbe dovuta tenere nel marzo scorso a New York (annullata per il Covid-19), quali p.e. The Feminist Alliance for Rights (FAR) and the Center for Women’s Global Leadership (CWGL).
Queste ONG o reti formali/informali stanno documentando sui loro siti ogni iniziativa legata alla pandemia e alle sfide connesse a questa, accentuando quanto in ogni caso le donne in tutto il mondo siano a più alto rischio di vedersi pregiudicare i loro diritti umani durante la pandemia, ma anche e soprattutto dopo.
Rispetto ad azioni ufficiali delle istituzioni si devono certamente menzionare le UN Women sul cui sito ufficiale sono visibili le loro iniziative relative alla pandemia; anche il Consiglio d’Europa con le esperte GREVIO per l’implementazione della Convenzione di Istanbul ha attivato alcune iniziative, perlopiù informative.
Certo è che sono rare iniziative da parte delle istituzioni – nazionali o internazionali – che abbiano – al di là delle parole di riconoscimento della gravità del fenomeno della violenza domestica in questo contesto – concretamente provveduto ad un efficace sostegno materiale/economico all’ attività dei Centri Antiviolenza.
Francesca Pidone ( Coordinatrice Telefono Donna, associazione Casa della donna Pisa), Marcella Pirrone (avvocata e Presidente di Wave, Rete europea dei Centri antiviolenza)