LA VIOLENZA DI GENERE DAL CODICE ROCCO AL CODICE ROSSO (eds. B. Pezzini & A. Lorenzetti), Giappichelli, Turin, 2020
Il lavoro collettaneo curato da Barbara Pezzini e Anna Lorenzetti svela nel titolo solo una parte della straordinaria quantità di informazioni, approfondimenti e spunti di riflessione che ci offre. All’approccio storico-evolutivo che sembra a prima vista esaurire i contenuti, quando si legga “La violenza di genere: dal codice Rocco al codice rosso”, deve aggiungersi un ricco e variegato ventaglio di analisi che viene subito rievocato nel sottotitolo: “un itinerario di riflessione plurale attraverso la complessità del fenomeno”.
Complessità del fenomeno e pluralità delle visuali rappresentano il filo rosso che attraversa l’intero volume, sempre attento tanto al dato giuridico quanto alla genesi e alle ricadute culturali della violenza contro le donne in quel delicato rapporto circolare tra diritto e genere.
Invero – nel tradurre l’esperienza maturata nel corso dedicato a “Violenza di genere: profili giuridici e psico-sociali”, che ha trovato stabile collocazione nell’offerta didattica dell’Ateneo bergamasco – il volume mira ad offrire un affresco a tutto tondo della violenza di genere. Nel fare ciò, le curatrici partono da un connotato di fondo del fenomeno che rende la sfida particolarmente stimolante: l’intrinseca complessità della violenza di genere, a partire dalla messa a fuoco della nozione, per guardare alla pluralità dei piani di approccio e alla molteplicità delle tipologie di risposte, si manifesta tanto nella sua dimensione orizzontale (che esige il continuo confronto tra la profili giuridici, sociologici e linguistici) quanto in quella verticale (che richiede un approfondimento su più livelli di analisi).
In questo contesto si calano, dunque, contributi che consentono anche al lettore meno aduso al confronto su questi temi di acquisire le coordinate generali del fenomeno, affacciandosi da subito su panorami tanto ampi e stratificati quanto solidamente tracciati.
Barbara Pezzini ripercorre le tappe fondamentali dell’evoluzione del sistema di contrasto alla violenza di genere, guidando il lettore lungo un percorso che ben distingue tra pietre angolari (qual è la Convenzione di Istanbul) e pulviscolo normativo (densamente sedimentato nel succedersi di una normativa emergenziale priva di visione prospettica, della quale si dà ampiamente conto nell’appendice I, volta a compendiare i principali riferimenti normativi). Ma l’approccio non è meramente diacronico, mirando a introdurre alla straordinaria ricchezza delle implicazioni culturali che fanno da sfondo ad ogni tentativo di studio del tema della violenza di genere.
Così, pure nella messa a fuoco concettuale, Anna Lorenzetti individua la costante del fenomeno nella sua complessità, sia sul versante oggettivo sia su quello soggettivo, e ne ripercorre le tante forme di manifestazione alla luce dei (talora maldestri) tentativi del legislatore penale di ingabbiarle in strutture normative che si rivelano molto parziali, svelando i pesanti limiti di una legislazione che lascia prevalere la risposta securitaria di carattere rimediale rispetto ad una politica di matrice preventiva che metta al centro la connotazione culturale e sociale della violenza di genere e contro le donne.
A sottolineare la necessità di una visione plurale, del resto, interviene il documento che rappresenta la guida più articolata e completa al contrasto alla violenza di genere e alla violenza contro le donne: l’importanza di un approccio globale domina la Convenzione di Istanbul, che viene dinamicamente illustrata da Federica Persano nelle sue interazioni con la Convenzione e.d.u. L’espressa riconducibilità della violenza contro le donne ad una violazione dei diritti umani rappresenta un passaggio -culturale prima ancora che giuridico- di straordinario rilievo, rinvigorendo gli obblighi incombenti sugli Stati aderenti in punto di prevenzione e contrasto alla violenza di genere. Proprio nei giorni in cui alcuni Paesi stanno adottando iniziative per defilarsi dalla Convenzione di Istanbul (per una sintesi v. qui https://www.ilpost.it/2020/07/27/polonia-convenzione-istanbul/) deve sottolinearsi il valore centrale di questo documento pattizio, che ormai orienta la giurisprudenza della Corte e.d.u., così elevando un sicuro argine a protezione dalla violenza di genere all’interno della grande Europa, dove anche i Paesi che, come l’Italia, hanno adottato misure legislative in linea con
quanto richiesto, spesso hanno prodotto risultati parziali e lontani dall’approccio olistico, lasciandoci ancora oggi un divario significativo tra law in the books e law in action (v. qui https://rm.coe.int/committee-of-the-parties-recommendations-on-italy/pdfa/16809a46bd per il recente Report del Grevio, con riguardo al nostro Paese, e qui https://www.direcontrolaviolenza.it/grevio-rapporto-ombra/ per un inquadramento più ampio alla luce dei risultati del rapporto ombra).
I contributi di segno generale, che evidenziano la complessità e la pluralità del fenomeno, trovano conferma nelle analisi più specifiche che guardano ai luoghi della violenza (famiglia e lavoro), alle forme di manifestazione della violenza (diretta e assistita) e alle tante tipologie di violenza (fisica, psicologica, morale, economica), con uno sguardo attento su alcune categorie di vittime, la cui vulnerabilità risulta moltiplicata dalle qualità soggettive (minorenni, migranti).
Una volta messi a fuoco i contorni frastagliati, i contenuti ampi e la genesi complessa della violenza di genere, numerosi sono i contributi che, da diversi angoli prospettici, guardano alle forme di intervento: così, la centralità dell’esperienza dei centri antiviolenza è espressione diretta sia del loro ruolo frontale nella gestione dell’uscita dal percorso di violenza sia del retroterra culturale che li anima. Molto interessante l’analisi della dimensione giudiziaria condotta da Roberta Ribon dal punto di vista del difensore della vittima di violenza domestica, che, guardando al variegato strumentario messo in campo dal legislatore, si sofferma sul composito ruolo che assume l’avvocato, le cui competenze debbono non solo spaziare su diversi settori giuridici, ma soprattutto arricchirsi di capacità di ascolto in grado di intercettare il confine, non sempre nettamente tracciato nelle parole della persona offesa, tra conflitto e violenza. Una particolare attenzione è poi riservata alle potenzialità che può svelare la giustizia riparativa nella gestione delle conseguenze della violenza agìta: è questo un difficile banco di prova per la mediazione che, sulla base di quanto indicato nella Convenzione di Istanbul, trova nel settore della violenza domestica un terreno particolarmente scivoloso, ma anche fertile di prospettive. Il ricorso alla sanzione detentiva e alle misure cautelari -come osservano Francesca Garbarino e Paolo Giulini – “congelano” il conflitto, contenendolo per il tempo in cui dura la restrizione della libertà, ma hanno una ridottissima funzione di prevenzione speciale, che invece può essere raggiunta in modo più soddisfacente attraverso modalità di intervento che privilegiano il riconoscimento dell’altro e del valore dell’altro in sè (per un’analisi delle delicatissime ma potenzialmente virtuose interazioni tra giustizia riparativa e interventi sulla violenza domestica nell’esperienza di diversi Paesi europei v. qui https://www.euforumrj.org/sites/default/files/2019-12/7388_restorative_justice_in_cases_of_domestic_violence.pdf).
La dimensione giuridica del contrasto alla violenza di genere e contro le donne è, nelle sue numerose sfaccettature, lo specchio entro il quale si riflette solo la porzione di un’immagine ben più ampia e complessa che insiste sul piano socio-culturale: qui più che altrove, il fenomeno affonda le proprie origini nel tessuto sociale e lì le radica solidamente attraverso sedimentati stereotipi di genere, che vengono perpetuati quotidianamente anche attraverso l’uso (talora inconsapevole) di un linguaggio intriso di riferimenti che gerarchizzano il rapporto tra uomo e donna.
Nella consapevolezza per cui il linguaggio non è mai neutrale, le riflessioni conclusive del volume non potevano non guardare a questo profilo, scansionato da più angoli di visuale. Partendo dall’approccio maschile al tema della violenza di genere, che rivela il ruolo chiave ricoperto da tre parole chiave (potere, prossimità e sessualità), viene esplorata funditus la dimensione linguistica della violenza di genere: dal neologismo “vittimicidio” all’attenta ricostruzione dell’influenza del genere nell’impianto dei dizionari, Fabiana Fusco ci insegna come le parole possano essere uno strumento della lotta alle diseguaglianze basate sul genere, dedicando una particolare attenzione al facile richiamo a stereotipi di genere nelle righe della carta stampata che si occupa di cronaca giudiziaria. Non meno centrale si rivela l’analisi di Rita Pescatore, che punta a cogliere l’interazione tra “impliciti di genere” e le scelte linguistiche effettuate nei testi normativi, rivelando come l’approccio tenuto dal legislatore italiano alterni una retorica dell’emergenza ad interventi di bilanciamento tra la morale pubblica e la libertà e dignità della persona, offrendoci utili strumenti di disambiguazione del testo normativo.
Del resto, la forte valenza performativa del linguaggio del diritto, dovuta alla forza normativa e precettiva dello stesso che ha indubbi effetti di orientamento dei consociati, impone di riservare al tema del linguaggio discriminatorio un’attenzione che ancora non gli è debitamente riconosciuta neppure in seno ai percorsi formativi degli operatori del diritto e del processo (sulle difficoltà ancora ricorrenti ad adottare un linguaggio libero dagli stereotipi di genere sul terreno attiguo dei provvedimenti giudiziari v. https://www.questionegiustizia.it/articolo/a-margine-della-sentenza-di-cassazione-n-1568319-c_19-04-2019.php), così come a chi opera nella comunicazione mass-mediologica. Anche sotto questo versante, il volume curato da Barbara Pezzini e Anna Lorenzetti si rivela una risorsa preziosa, che offre uno strumento agile, equilibrato e completo per la formazione di quanti intendano confrontarsi con il complesso mondo della violenza di genere.
Valentina Bonini, Associate Professor in Criminal Procedure, ELaN Teaching Staff