“PENSIERO FEMMINISTA E TECNOLOGIE RIPRODUTTIVE. AUTODETERMINAZIONE, SALUTE, DIGNITÀ” by A. Di Martino. BOOK REVIEW by A. Lorenzetti

“Pensiero femminista e tecnologie riproduttive. Autodeterminazione, salute, dignità”, A. Di Martino, Milano-Udine, Mimesis-Editore, 2020.

Il volume Pensiero femminista e tecnologie riproduttive. Autodeterminazione, salute, dignità, di Alessandra Di Martino, recentemente edito da Mimesis, si interroga sul “se” e sul “come” il pensiero femminista, elaborato in particolare attorno al tema delle biotecnologie riproduttive, abbia influenzato l’interpretazione costituzionale e contribuito a una rilettura dei principi costituzionali.

Suddiviso in due parti, affronta dapprima l’autodeterminazione femminile nella prospettiva che le Teorie e pratiche femministe hanno elaborato attorno alle tecnologie riproduttive (Parte I), per poi approfondirlo nel confronto sui principi costituzionali in specie l’autodeterminazione, la dignità, il diritto alla salute (Parte II).

Attraverso la ricostruzione del plurale dibattito femminista sulle tecnologie riproduttive, l’Autrice ne indaga l’influenza sul dibattito costituzionale e in generale giuridico. Ripercorrendo le sue origini e la sua genesi, Di Martino è così in grado di rintracciarne quelle che definisce linee di continuità e di frattura rispetto alle questioni più attuali, in specie la maternità surrogata, senza dissimulare la conflittualità che questi temi generano.

Nella raffinata riflessione che propone, l’Autrice parte così dagli interrogativi che classicamente hanno attraversato le diverse articolazioni del pensiero femminista attorno al corpo e alla riproduzione per come interessati dall’avvento delle moderne tecnologie. Nel prendere atto di come alcun tipo di categorizzazione rigida possa rendere giustizia alla pluralità e complessità del pensiero femminista, l’Autrice si addentra in una riflessione che frontalmente mette a tema la questione della libertà di scelta femminile in ambito riproduttivo. È proprio la peculiarità di come l’autodeterminazione, la dignità e il diritto alla salute abbiano assunto specifiche caratteristiche nei differenti contesti costituzionali analizzati – Stati Uniti, Germania, Italia – a essere messa a fuoco con grande accuratezza e lindore intellettuale. L’Autrice contesta l’enfasi posta sull’autodeterminazione e sulla libertà di scelta, piuttosto privilegiando un riferimento alle donne e al loro corpo, sia nell’aspetto individuale, quanto al nesso fra autorealizzazione e controllo del proprio corpo, sia in una prospettiva più di matrice sociale, relativamente alla liberazione da rapporti sociali di tipo oppressivo che si esprimono attraverso forme di patriarcato (p. 28).

Problematico viene individuato anche il rapporto della dignità rispetto all’autodeterminazione e all’autonomia femminile, nel suo porsi quale limite se la si intende in senso oggettivo, ma come sinonimo se la si intende in senso soggettivo, nell’impossibilità di approdare a esiti incontrovertibili su temi di simile complessità (p. 12-13).

Rifuggendo il rischio di banalizzazione, l’Autrice raccoglie piuttosto la sfida di affrontare «il tema delle tecnologie riproduttive dall’angolatura del pensiero femminista», provando a far emergere la complessità di insieme e l’insensatezza di qualsiasi posizione aprioristica che appiattisca la complessità di cui è imprescindibile tenere conto. Con grande efficacia, riesce così «a far emergere, all’interno delle correnti della teoria e della bioetica femministe, gli argomenti volti a mostrare l’insufficienza di un’impostazione esclusivamente liberale» (p. 20), ricordando come pur in un’epoca in cui grande rilievo hanno i percorsi individuali, questi «continuano a situarsi all’interno di contesti culturali, sociali e politici che per un verso condizionano quelle scelte e per l’altro ne assorbono le conseguenze a un livello più generale» (p. 20).

Mantenendo saldo l’ancoraggio costituzionale, Di Martino si avvale del metodo comparatistico, nell’osservare l’evoluzione del rapporto dialogico fra Germania, Stati Uniti e Italia. Lo studio risulta così caratterizzato da una chiave spiccatamente orientata all’ambito comparato e ricondotto lungo i binari che il pensiero femminista nella sua pluralità di elaborazioni ha conosciuto in tali contesti, dunque in particolare rispetto al femminismo liberale negli Stati Uniti, analizzato anche in polemica con le riflessioni proprie del femminismo radicale e del femminismo black, in Germania laddove si è radicato l’eco-femminismo e in Italia rispetto al posizionamento dogmatico del femminismo della differenza, lungo le cui riflessioni la lettura viene naturalmente accompagnata.

Il testo ha il pregio di non omettere un tanto schietto quanto necessario confronto con le polemiche che l’attualità ha restituito, in particolare rispetto alla maternità surrogata, ma in generale alle tecniche di procreazione medicalmente assistita che hanno determinato o contribuito a determinare il configurarsi di quello che l’autrice definisce uno “slittamento di senso” rispetto all’avere figli come esclusiva proiezione volontaristica. Nel richiamare l’espressione per cui “un figlio se voglio quando voglio” elaborata nell’ambito delle riflessioni sull’interruzione di gravidanza al fine di rivendicare come la donna dovesse essere libera di mettere al mondo un figlio se e soltanto quando questo fosse il suo desiderio, Di Martino ne svela il portato quasi di pretesa se associata all’avvento delle tecnologie riproduttive. Si tratta di una espressione che viene intesa (o meglio potrebbe dirsi fra-intesa) nel plasmare l’idea per cui se una donna vuole avere un figlio, deve essere posta nelle condizioni di averlo a prescindere dalle proprie condizioni personali, configurando l’avere figli come dimensione esclusivamente schiacciata sull’elemento della volontà (p. 34). Sul tema, l’Autrice torna poi per impostare la riflessione relativamente al contesto statunitense, poiché proprio quell’approccio consente di svelarne l’ambiguità di fondo per cui non è la gestazione come prestazione in sé a esser oggetto del contratto ma il suo risultato, il suo “prodotto”, ossia il bambino, che però in tal modo viene assunto a oggetto di una transazione e di una transazione economica definendola come “lavoro alienato dal prodotto che ne è frutto, dalla donna che ha portato avanti la gravidanza.. e dalle persone che la circondano” di marxiana memoria; attraverso le letture che ne hanno offerto il femminismo giuridico di matrice radicale e post marxista (MacKinnon), Di Martino ne evidenzia così il portato di pratica che aggrava le disparità esistenti, senza che la si possa considerare una opportunità per le donne, poiché condizionata dal patriarcato sociale e dalle diseguaglianze economiche e sociali (p. 90).

Da tali approdi, l’Autrice rileva l’insufficienza della prospettiva dell’uguaglianza schiacciata sulla dimensione della non discriminazione e della uguaglianza formale, il cui limite viene individuato nell’essere cieca alle differenze individuali, alla dimensione socio-economica delle diseguaglianze che invece la prospettiva antisubordinazione, che sul piano costituzionale interno è stata elaborata da Barbara Pezzini, consente di visualizzare. Del contesto statunitense viene inoltre rammentata la debole forza di una dimensione che raccordi l’uguaglianza alla dignità, da un lato, per il suo porsi quale limite alla libertà e autonomia privata ma, dall’altro, anche per il suo supposto collocarsi su un piano morale e assiologico.

Affrontata l’autodeterminazione, l’Autrice ne traccia le distinzioni epistemologiche e concettuali rispetto all’autonomia relazionale, mettendo in luce l’ambiguità del legame con l’individualismo tipico della matrice di pensiero liberale e la distanza di quest’ultima rispetto alla libertà di scelta che tanto spazio ha quando si discute di corpo e di corpi femminili. Con nettezza, Di Martino chiarisce la difficoltà di una costruzione dell’autonomia in contesti profondamente caratterizzati da meccanismi patriarcali e oppressivi che rendono difficile un suo configurarsi autonomo in ragione dell’interiorizzazione spesso permeata nelle relazioni. A partire da tali riflessioni, l’Autrice ripercorre le posizioni di chi ha avanzato una pretesa di attenzione verso il concetto di libertà relazionale da intendersi come mantenimento di uno spazio libero dalle interferenze di un sistema oppressivo in chiave di mutamento culturale e simbolico (pp. 37 ss.).

Nel tracciare poi le “intersezioni” con i principi costituzionali, l’Autrice segue diverse traiettorie a seconda dell’ordinamento preso in esame, a partire dalla questione dal dialogo fra autonomia riproduttiva ed eguaglianza sessuale negli Stati Uniti, in particolare per come si snoda attraverso la giurisprudenza della Corte suprema su aborto e accesso alla procreazione assistita (pp. 81 ss.). Nella difficoltà di riferirsi a un contesto in cui non vi è una normativa unitaria a livello federale, dovendosi riferire al quadro ordinamentale dei singoli stati, l’Autrice orienta la lettura palesando l’insufficienza (o se si può, la fallacia) della prospettiva liberale.

Incentrata sulla dignità è invece l’analisi riferita al contesto tedesco, che il volume intreccia dapprima in una prospettiva storico-istituzionale di cui sono colti gli sviluppi, riportati attraverso l’analisi dei formanti dottrinale e normativo, per approdare a come la giurisprudenza si sia infine raffrontata con la dignità umana, rectius con la dignità della donna, proprio a proposito di maternità surrogata e della riconoscibilità degli accordi sottoscritti all’estero (pp. 97 ss.).

Da ultimo, la riflessione sul contesto italiano è incentrata sulla salute per come interroga il dialogo fra autodeterminazione e dignità, muovendo dal dibattito attorno alla legge 40 del 2004, di cui sono analizzati sviluppi normativi e giurisprudenza costituzionale nella chiave che la riflessione del femminismo della differenza consente di assumere (pp. 121 ss.). È in particolare la maternità surrogata a essere tematizzata per il suo rappresentare lo snodo di una contraddizione irrisolta: da un lato, il suo divieto come limite alla autodeterminazione della donna, alla sua libertà, quanto alle scelte che riguardano il proprio corpo; dall’altro, il suo ledere la dignità della donna, funzionalizzando il corpo femminile alla riproduzione per altri e per altre, in un approccio di cui l’autrice sottolinea l’effetto di invadenza dell’autorità pubblica sui corpi solo femminili. Senza camuffare il tessuto problematico rappresentato dalle condizioni economiche e sociali che spesso inducono le donne a prestarsi quali gestanti, dunque dalle diseguaglianze che tale pratica manifesta ma al tempo stesso riproduce, l’autrice critica la dimensione privatistica dell’autodeterminazione che ne deriva; richiama così la messa in discussione dell’ordine simbolico della riproduzione a opera di una pratica patriarcale volta a disciplinare corpi solo femminili, che molto spesso viene semplicisticamente banalizzata quale espressione della libertà individuale di “prestare” il proprio corpo in modo che altre persone possano soddisfare un supposto “diritto” alla genitorialità. Nel manifestare le aporie che la contemporaneità lascia emergere, il volume approda infine ai più recenti assunti della giurisprudenza interna in tema di riconoscimento di atti di nascita straniera di minori nati all’estero a seguito di accordi maternità surrogata su cui non possono dirsi raggiunti punti di arrivo indiscussi, alla luce dell’incessante rivisitazione delle categorie che ne deriva e del multiforme atteggiarsi delle singole vicende individuali che giungono all’esame dei giudici.

Senza la pretesa di segnare il punto, proprio per la complessità della materia, l’Autrice giunge in fine ad argomentare la difesa del divieto di maternità surrogata in nome del principio della pari dignità sociale (p. 163), lasciando aperto uno spiraglio per future eventuali virate che consentano di ammettere tale pratica (solo) se altruistica.

Il volume si contraddistingue, da un lato, per il pregevole approfondimento di alcun complessi temi, dall’altro, per la dettagliata visione d’insieme offerta delle evoluzioni conosciute in alcuni ordinamenti (Stati Uniti, Germania, Italia), sia sul piano normativo, sia giurisprudenziale, sia dottrinale. L’Autrice offre una pregevole sistematizzazione da un lato delle articolate diramazioni del pensiero femminista, o meglio dei pensieri femministi, alla luce dell’impossibilità, come ben precisato, di una loro reductio ad unum, provando a valorizzare le specificità assunte nei contesti presi in esame, e dall’altro di come esse siano entrate nel dibattito sui temi della riproduzione.

Uno degli aspetti di maggiore pregio del volume è certamente quello di offrire una riflessione che – senza cedere a semplificazioni e mantenendo un elevato rigore analitico – restituisce una sistematizzazione di temi complessi, opera di per sé stessa meritoria, oltretutto collocandoli sulla scia del pensiero femminista, per come lo influenzano, venendone a loro volta influenzati, in un percorso di progressiva acquisizione di conoscenza e consapevolezza.

Il lavoro ha infatti il fondamentale merito di svelare un comune errore concettuale in cui si cade nell’intendere tali prospettive analitiche come extra giuridiche e dunque, in quanto aliene da una riflessione rigorosamente ancorata al diritto e sul diritto, destinate ad assumere un peso marginale nelle riflessioni. Al contrario, come bene argomentato nel volume, non è affatto possibile articolare una riflessione attorno al corpo, alla sessualità, alle relazioni fra i generi prescindendo da tali lenti che rappresentano le sole in grado di restituire la necessaria complessità analitica. Per quanto in seno ad altre discipline e nel dibattito proprio di altri contesti ordinamentali, simile approccio appaia indiscusso (a partire dalle opzioni di politica legislativa astrattamente possibili, sino alla loro applicazione pratica), si tratta al contrario di una metodologia che sul piano interno ha sempre stentato a farsi strada. E dunque meritoria è l’opera di valorizzarne il potenziale, mostrandosi come una spiccata novità che impreziosisce l’analisi giuridica già molto raffinata per il non certamente comune spessore intellettuale.

Sotto questo profilo il volume ha l’indubbio pregio di restituire un’ampiezza di orizzonte non comune per testi di ambito giuridico, con riferimenti a una dottrina che ha avuto una limitata circolazione nel dibattito interno e che viene posta in dialogo con le evoluzioni giuridiche, anche giurisprudenziali, sui temi oggetto della riflessione.

Considerevole è poi la capacità di guidare la lettura mantenendo il rigore argomentativo, al tempo stesso tenendo sullo sfondo gli interrogativi che muovono la ricerca circa l’impatto delle relazioni, del contesto sociale in cui le vicende si collocano, delle precedenti e pre-esistenti gerarchie, interrogativi giuridici e interrogativi che lambiscono la prospettiva etico-morale, scelte politiche e dei decisori pubblici. Con onestà intellettuale, Di Martino non omette tuttavia il confronto critico con le letture mainstream che sempre più si fanno strada nell’appiattire il dibattito attorno ai corpi e ai corpi femminili nel mercato come proiettati alla sola garanzia di una libertà di scelta, a una supposta “neutralità” della persona, dell’individuo, a prescindere dalle specificità di genere di cui si è portatori. Si tratta di una dimensione certamente non in grado di percepire lo sfondo su cui si collocano le vicende, il quadro delle preesistenti diseguaglianze, come pure l’influenza del contesto di riferimento. Quella assunta come centrale nel volume è piuttosto una prospettiva poco praticata oggi nel dibattito interno, molto proteso a valorizzare dimensioni assiologiche quali la “dignità umana”, l’uguaglianza nella dimensione della non discriminazione che, neutre e imparziali nella loro apparenza, si mostrano invece come costrutti giuridici profondamente segnati dall’androcentrismo permeato nel diritto, e dal diritto permeato, al punto da essere irriconoscibile.

Il volume può così essere inteso quale strumento analitico, vera e propria bussola per orientarsi in un ginepraio molto spesso contaminato da posizioni sterilmente ideologizzate; restituendone la complessità, si proietta al di là di un preconcetto e aprioristico posizionamento come “a favore” o “contro”, come “progressista” o “conservatore”, che non potrebbe mai rendere appieno la composita e multiforme riflessione sui temi proposti. Il caso della maternità surrogata, ad esempio, mal si presta a una riconduzione come libertà di scelta o alternativamente come pratica oppressiva, se non si tiene conto del suo mettere in discussione i fondamenti della regola iuris sulla maternità, così come i fondamenti del come si viene al mondo, tanto che Di Martino conclude con un auspicio: che si possa «discutere apertamente del legittimo desiderio di avere un figlio e della pluralità delle forme familiari, ma anche delle implicazioni individuali e sociali che si determinano quando la realizzazione di quel desiderio è possibile solo attraverso l’intervento medico e la partecipazione di terze persone», come ad esempio i rischi per la salute ai quali le donne sono esposte nelle diverse procedure, la responsabilità verso un essere umano quando si contribuisce alla sua nascita, la frattura fra bambino e madre gestazionale, l’incentivazione di modelli sociali che aggravano la vita delle donne come “gruppo”, lo sfruttamento delle diseguaglianze sociali già esistenti e da ultimo la prospettiva che indica il mercato come creatore di nuovi bisogni.

Di simili aspetti il volume invita a tenere conto, poiché un’analisi sulle tecnologie riproduttive e i corpi coinvolti che ometta il confronto risulterebbe inesorabilmente monca. L’onestà intellettuale della studiosa prende così atto dell’impossibilità di offrire risposte nette e certe, proiettando la riflessione dritta al cuore della complessità, rifiutando un posizionamento aprioristico sui temi affrontati che induca a percorrere vie scontate e banali.

Opere come quella di Alessandra Di Martino mostrano dunque le potenzialità dell’analisi di genere applicata al diritto che non semplicemente metta a tema le questioni connesse all’uguaglianza, alla non discriminazione, alla parità, come questioni femminili, piuttosto restituendone il carattere fondativo e fondante per una riflessione che, giuridicamente, metta a tema ogni ambito e ogni questione.

Anna Lorenzetti, Associate Professor of Constitutional Law, University of Bergamo