Mothers of children with disabilities telling their experience in the time of Covid-19 pandemic

Madri di figli con disabilità si narrano ai tempi del Covid-19

 1. Introduzione

Nel corso dei mesi di gennaio e febbraio 2020 un gruppo di operatori del reparto IRC dell’IRCCS Fondazione Stella Maris e di genitori dei loro pazienti con varie forme di disabilità dell’età evolutiva hanno effettuato un percorso di formazione in Storytelling e Medicina Narrativa.

Colti dalla pandemia da Covid-19 molti genitori di figli con disabilità si sono trovati impossibilitati a frequentare l’Istituto di riabilitazione. Questa situazione di rottura improvvisa della routine delle famiglie ha amplificato un sentimento di solitudine. Le scuole sono state chiuse e per certi bambini è impossibile seguire lezioni a distanza. I centri ricreativi sono stati chiusi interrompendo momenti di scambio sociale per i bambini. A seguire i figli in tutta la giornata sono soprattutto le madri e questo ci viene confermato anche da dei questionari che abbiamo sottoposto a 40 genitori di età media di 44 anni. Tali genitori frequentano l’IRC, ed hanno figli di età media di 9 anni con diagnosi di Disturbo dello Spettro Autistico (DSA), Disabilità intellettiva e Disturbo del linguaggio. Del campione di riferimento si è notato che l’81% è composto da persone di sesso femminile. Di tale popolazione femminile, il 32% ha il titolo di laurea, il 42% ha il diploma superiore e il 7% la licenza media. Della popolazione maschile, il restante 19%, nessuno ha il titolo di laurea, il 16% ha il diploma superiore ed il 3% la licenza media.

2. Madri prima e durante il Codiv-19

Nel campione femminile si nota che ad essere occupate in mansioni lavorative con retribuzione sono il 31% come dipendenti, il 25% lavora come libera professionista, il 6% è in congedo, il 25% è disoccupata ed il 13% è casalinga. Il lavoro per queste madri è mutato durante il periodo di restrizioni causate dal Covid-19. La maggioranza delle donne lavoratrici ora lavora da casa e chi aveva un contratto a chiamata adesso è disoccupata. Per gli uomini nella maggioranza dei casi hanno continuato a lavorare in maniera similare al periodo precedente alla pandemia.

Una madre afferma:

In merito alle ultime settimane mi sono sentita addirittura contenta di stare un po a casa con mio figlio, senza andare e venire da terapie, laboratori, teatri, piscina, scuola, ecc Dopo le prime due settimane però sono stata assalita dal panico e ho chiamata la psicoterapeuta che mi segue, ero spaventata all’idea della Quarantena che si stesse allungando. Con il nuovo carico di attivazione delle lezioni on line è più impegnativo… Cmq voglio sottolineare che l’irc è l’unico ente che non si è tirato indietro e ho continuamente tenuto un filo con l’educatrice oltre a continuare, seppur più di rado, il trattamento

Le mamme italiane sono rappresentate dalla sociologa Chiara Saraceno come delle equilibriste e questa immagine rende in maniera veritiera la condizione attuale delle madri, queste sono spesso tra le più «denigrate per quanto succede ai loro figli (dall’accusa di mammismo, che impedirebbe ai figli di diventare autonomi, a quella di narcisismo se appena distolgono lo sguardo da quello che viene loro assegnato come compito principale, se non esclusivo) e le meno sostenute nella vita quotidiana.» (C. Saraceno, L’equivoco della famiglia, Laterza, Bari, 2017, p. 47-48), e nonostante le attività ora si siano interrotte il carico del lavoro di cura non è diminuito e anzi sembra essere aumentato.

3. La competenza narrativa

Del campione presentato 20 genitori e 8 operatrici hanno seguito volontariamente una formazione in Storytelling presso l’IRC. I partecipanti alla formazione adeguatamente informati e consenzienti hanno preso parte a 16 ore di workshop, strutturato in due diverse giornate, affrontando mediante teoria e prassi i criteri di una buona comunicazione, la teoria e la pratica della Medicina Narrativa, i principi dello Storytelling,

Attraverso l’analisi quantitativa delle risposte ottenute attraverso un questionario online, riguardanti il grado di benessere familiare, e dell’analisi qualitativa di alcune dichiarazioni scritte e di pagine di diario inviate, si è cercato di valutare se la formazione narrativa, le risorse ricevute e gli esercizi assegnati ai partecipanti aderenti alla formazione potessero essere di supporto ai genitori e agli operatori nell’affrontare emotivamente questo periodo stressante.

I partecipanti allo studio sono stati suddivisi in 4 categorie. Il Gruppo A composto da un’équipe di operatori e da genitori di minori con disabilità formati allo Storytelling e alla Medicina Narrativa; nel Gruppo B i genitori sono formati mentre gli operatori non lo sono; nel Gruppo C l’équipe degli operatori è formata mentre i genitori sono ignari; nel Gruppo D, il gruppo di controllo, nessuno è formato, operatori e genitori proseguono con le cure abituali.

Mediante i questionari si è potuto osservare come dove i genitori sono formati nello storytelling e sono seguiti da personale altrettanto formato, il senso di solitudine è minore. I genitori non si sono sentiti lasciati soli ed hanno sentito percepito maggiormente l’importanza del trattamento offerto al loro bambino. Quando tutto chiudeva, l’IRC ha continuato a stare aperto, con misure di sicurezza accentuate. Emerge, dai questionari, che i genitori formati hanno avuto anche meno difficoltà nello stare con i propri figli, pur affermando che stare chiusi in casa in queste settimane non è stato facile.

Si nota come la riflessività possa sostenere i genitori a comprendere come anche in questo momento difficile, è importante confrontarsi con i propri figli su ciò che accade anche se questo può voler dire contattare la paura e la tristezza ma se tutto ciò viene condiviso l’elaborazione sarà un processo se pure individuale sostenuto dal nucleo familiare.

I genitori del Gruppo C, formati ma seguiti da operatori non formati, hanno manifestato maggior frustrazione nel sentirsi lasciati soli ma manifestavano meno rabbia verso la situazione.

Il gruppo di genitori e operatrici non formati sembra risentire molto della mancanza di un supporto (la propria capacità di raccontarsi) e della minore responsività degli operatori anch’essi non formati.

La narrazione, l’avere regole comuni su come attuare una buona comunicazione e sviluppare un ascolto attivo permette di avvicinare i genitori agli operatori e viceversa. Una buona alleanza permette di trovare tempo per parlare di tutte le situazioni complesse che i genitori, in particolare le madri, si trovano a vivere con i loro figli e ancora di più in questa situazione di emergenza.

4. Conclusioni

Ascoltare è senza dubbio il primo passo per entrare in comunicazione: e creare una relazione di fiducia. La medicina narrativa pone l’attenzione proprio su tale competenza, poiché «per comprendere la sofferenza ed essere clinicamente d’aiuto, si deve entrare nel mondo del paziente, guardandolo e interpretarlo attraverso i suoi occhi, anche solo con l’immaginazione. Per arrivare a diagnosi accurate, c’è bisogno di immergersi nella storia naturale dei disturbi, indagando minuziosamente i cambiamenti corporei sul lungo periodo.» (R. Charon, Medicina narrativa, Cortina, Roma, 2019, p.23).

La competenza narrativa, nel professionista, è quindi la capacità di cogliere e accogliere la storia del paziente, non è solo ascolto ma è una prima presa in cura del soggetto. Ascoltando si crea comunità e si mette le basi per una prima relazione di cura.

La medicina narrativa si occupa di onorare il paziente, onorare la sua storia di persona e non soltanto come malato, si occupa di onorare anche la famiglia. Le madri, spesso in ombra, vengono finalmente viste. Diventano partecipi in maniera attiva del percorso di cura del proprio figlio e iniziano a trovare spazio per narrare anche i propri stati d’animo.

Tutte le persone hanno in sé il potenziale per la resilienza, questa va però supportata ed ecco che fattori narrativi possono aiutare a promuoverla sia nel singolo individuo che come risonanza, nella famiglia stessa.

Narrando poniamo tempo su noi stessi, le madri a tempo pieno spesso sono sommerse dai bisogni del bambino e sembrano non ricordare più di poter avere spazio e tempo per sé. Il tempo è una variabile che in questo periodo sembra scorrere troppo velocemente o non passare mai ma la narrazione, trovare tempo per sé, aiuta a vedere meglio la propria vita.

Silvia Carpi, Giulia Bini, Barbara Parrini, Aurora Piaggesi e Stefania Bargagna, IRCCS Fondazione Stella Maris, Calambrone (PI), Italy.